La guerra si allontana, il petrolio cala, ma la benzina no: una contraddizione che brucia nel portafoglio. Ma perché in Italia succede così?
La guerra è sbagliata per tanti motivi e non dovrebbe neppure esistere nella mente degli esseri umani. Fra questi motivi ce ne sono molti validissimi, decisamente più validi anche dell’inflazione del prezzo della benzina. Ma, ecco, uno degli effetti più “tangibili” di ciò che accade a migliaia di km da noi ricade proprio sulle nostre tasche.
Succede sempre così quando c’è una guerra in Medio Oriente o in un’area geografica importante nello smistamento delle materie prime: la prima cosa che aumenta è il costo dei carburanti, anche perché subito cresce il costo al barile del petrolio greggio e di conseguenza anche benzina e diesel al distributore.
Un circolo vizioso che inevitabilmente ricade sulle spalle (e sulle tasche) del consumatore finale, che subisce sempre le conseguenze di ciò che accade.
Ora però si sta verificando un meccanismo curioso, un po’ in controtendenza rispetto a questa dinamica che abbiamo appena illustrato. Ovvero: la guerra in Iran va sfumando e così, di conseguenza, anche il greggio è calato sensibilmente ritornando sui livelli precedenti, anche se ci sono ancora delle oscillazioni che per il momento hanno portato il Brent sui 67,9, anche se si prevede una discesa a breve.
In questo caso però il calo dei prezzi non sta ricadendo su quelli della benzina che invece è rimasta alta come nei giorni scorsi. Ma perché succede? Ecco, proviamo a spiegarlo.
Nelle stazioni di servizio italiane il prezzo della benzina è schizzato alle stelle. Certo, non ai livelli dei primi mesi di guerra in Ucraina, ma ha comunque avuto un aumento importante. Questo perché i bombardamenti di Israele e USA sull’Iran avevano portato il costo del petrolio oltre gli 80 dollari al barile. Ecco perché, una volta iniziata la de-escalation, quel costo è tornato sotto i 70 come prima.
I listini dei carburanti in Italia, però, non sono scesi, tanto che il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso ha convocato per il 25 giugno la Commissione di allerta rapida, l’organismo interministeriale che monitora le dinamiche dei costi al consumo nei settori strategici e può proporre interventi correttivi.
Tutto questo nonostante gli analisti americani prevedano che il prezzo del greggio al barile possa scendere fino a 59 dollari nel 2026. Ma il crollo del petrolio si scontra con la particolare struttura del mercato italiano, basato principalmente su tasse e accise.
Se la benzina oggi costa 1,74 euro, sono ben 1,30 gli euro che vanno allo stato fra Iva (al 22%) e accise (circa 73 centesimi). Perciò eventuali cali del prezzo risentono anche delle tasse, che restano quasi invariate, “ammortizzando” anche l’eventuale discesa dei prezzi.
A questo si aggiunge un secondo problema: il comportamento dei gestori delle stazioni di servizio. Qui c’è un atteggiamento che invece non è edificante: quando i prezzi internazionali salgono crescono immediatamente anche quelli a listino, per non perdere denaro. Poi però quando scendono la discesa dei listini è più lenta perché prima vanno smaltite le scorte comprate a prezzi elevati durante la guerra.
E se rapportiamo il prezzo con la media europea ci rendiamo conto di quanto sia penalizzante questa situazione: la media UE è 1,46 euro, noi siamo a 1,70. E penso che abbiamo detto tutto.
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